«Siamo di fronte a un caso emblematico di doppia personalità. C’è il prete e c’è l’uomo protagonista delle azioni di cui stiamo leggendo in questi giorni. È uno sdoppiamento difficile da sostenere, eppure lui ci riusciva».
Serenella Salomoni -psicologa, sessuologa e psicoterapeuta con studi a Padova, Jesolo ed Este – non ha dubbi: il profilo di don Andrea Contin è quello di chi ha «buchi di personalità molto profondi». E che si è fatto conoscere in due modi diversi.
«C’è la parte alta del corpo, quella che porta alla sublimazione di tutto, che appartiene al prete, all’uomo che ha la vocazione e riesce a entrare in empatia con gli altri», spiega Salomoni. «E poi c’è la parte bassa del corpo che è direttamente legata al resto della storia: i soldi, il sesso, la prevaricazione, la prostituzione».
Ora l’ex parroco di San Lazzaro si è ritirato, ha chiesto di non essere più chiamato don. Ma fino a quando non è stata pubblica la denuncia nei suoi confronti, non aveva dato segni di pentimento.
«La giustizia farà il suo percorso, intanto sta a lui capire se vuole cambiare, lo ho dubbi che riesca a decidere. Ha condotto una doppia vita senza pentimento. È la tipica personalità del perverso, che non ha sensi di colpa. E che se decide di andare in terapia, lo fa per una qualche forma di depressione legata ad altre ragioni e non ai suoi sensi di colpa. Con queste persone è difficile fare qualcosa perché non riconoscono il loro errore».
Aldilà del profilo penale, tutto da accertare, c’è comunque la colpa già evidente del prete.
«E c’è la colpa di chi sta sopra di lui, che doveva far chiarezza da prima e che ora deve fare pulizia, senza scusanti».
Come si concilia un profilo violento come quello che sta emergendo dalle denunce con quello di un uomo che operava per il bene?
«È il lupo che indossa la pelle dell’agnello. Può apparire innocuo, ma è sempre un lupo. Tra l’altro il vestito da agnello funziona come copertura psicologica, anche per lo stesso lupo, che si autoassolve, sentendosi buono, trattato bene, accolto».
E che però traeva profitto dal suo ruolo…
«Sfruttava la sua posizione e abbindolava donne dalla personalità fragile, che venivano raggirate. Erano pecorelle innocenti che si prestavano a qualsiasi richiesta perché un prete è sempre nel giusto e questo giustificava qualsiasi condotta».
Questa vicenda si sviluppa in due contesti. Uno – quello della parrocchia – sorprendente. E uno, già noto, di un territorio dove trovare per esempio scambisti e luoghi per il sesso all’aperto non è difficile.
«Ma fino a che un adulto fa le sue cose senza violenza, senza costrizione, tutto è legittimo. La novità è che tutto nasce nella parrocchia, dove un prete non è in posizione di parità rispetto agli altri e trae vantaggio dalla sua posizione, con meccanismi di convincimento agevolati dal suo ruolo».
Eppure tanti parrocchiani ancora lo assolvono e sono pronti a perdonarlo,
«Sono meccanismi di autodifesa della nostra mente. Quello che è successo è talmente aberrante che lo si copre con qualche giustificazione. Come posso pensare, io parrocchiano, che l’uomo che doveva condurmi a Dio faccia queste cose? Poi ad assolverlo sono soprattutto gli uomini, che si sentono complici, che lo giustificano. E un po’, in questo modo, assolvono anche se stessi».
(intervista apparsa su “IL MATTINO DI PADOVA” del 22.01.17)